news





OCCHIALI, AMICI MIEI

Spesso l’affezione agli oggetti è più forte di quella che si prova verso le persone.
In questo privatissimo racconto il giornalista Luigi Bracciali ci parla del suo rapporto con gli occhiali.
A chi, come allo scrivente, che ha superato da poco più di due anni le nozze d’oro (si fa per dire) con gli occhiali, penso non si possa negare di prospettare un revival di convivenza con quelle che gli oftalmici antichi chiamavano “protesi correttive”.
Se poi i ricordi attinenti a mezzo secolo fa riguardano momenti di emergenza (vedi la guerra, nella fattispecie l’occupazione tedesca), tutto quello che ora verrebbe posto su un piano di banalità, allora diventava tragico. Sfollato in campagna, con Pescara ridotta a città morta, quasi avesse rubato il titolo di una commedia al suo figlio più illustre (Gabriele D’Annunzio), con i due negozi di ottica diventati enormi ammassi di macerie, se ti si rompevano le lenti, diventavi succube della miopia ed era buio pesto.
Se invece a rompersi era la montatura, c’era soltanto da spremere le meningi e solleticare la fantasia. Provammo di tutto: la congiunzione delle parti spezzate con grappetti metallici (come quelli della cucitrice, per intendersi) infissi tra le due parti, dopo averli riscaldati alla fiamma.
E poi? Poi tanti altri rimedi estemporanei ed empirici, ma si restava pur sempre nel precario. Provammo anche con la ceralacca fusa dalla fiamma di una candela, ma ne veniva fuori uno scoraggiante sgretolamento.
La soluzione venne…dal cielo. Un giorno cadde un quadrimotore americano, colpito dalle batterie antiaeree tedesche. Le uniche cose che riuscimmo a portar via dal presidiatissimo aereo furono i pezzi trasparenti della carlinga.
Fu chiamato plexiglas quel materiale che, fuso alla fiamma, riparava, come per un miracolo e per di più definitivamente, le montature spezzate degli occhiali.
Un passo indietro: retrocediamo di alcuni secoli .
Redigendo il catalogo di una vetusta biblioteca appartenente a quattro generazioni di studiosi, abbiamo trovato un libro del ‘500 (viene appunto chiamato dai bibliofili cinquecentina) con un occhialino a pinza fra le pagine, a mo’ di segnalibro (nella foto).
Ricostruire il fatto non è difficile: il vecchio parroco, mentre leggeva i Salmi di David (edizione 1585), si addormentò.
La sua perpetua, premurosa, gli tolse il libro dal tavolo e lo ripose nella biblioteca, lasciando l’occhialino in mezzo al volume per non perdere il punto della lettura, prima che il prelato fosse caduto nelle braccia di Morfeo.
Il libro è rimasto nell’antica ma impolverata scaffalatura per qualche secolo, giacchè gli anni di vita del sacerdote coprirono lo spazio intercorso tra il 1798 ed il 1872.
Ma pensate alla disperazione del vecchio studioso che non riuscì mai a trovare l’unico mezzo che gli avrebbe consentito, almeno in quel momento, di finire di leggere i Salmi. Una brutta fine anche per l’occhialino a pinza retrocesso al ruolo di semplice segnalibro, in vetro e metallo, è il caso di precisarlo, ma pure sempre…un segnalibro.
Arriva comunque (anche se in ritardo, come dire) il momento del riscatto. Quell’occhialino è diventato un buon pezzo da collezione, mentre la cinquecentina ha acquistato un valore nell’ambito dell’antiquariato librario.

Luigi Bracciali

Occhiali amici miei
«indietro